Introduzione
"Ma s'io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, le attuali conclusioni…"
Francesco Guccini, L'avvelenata, 1976.
Introdurre un testo ha la funzione, in genere, di anticiparne l'argomento e indicarne gli obiettivi. In sostanza, si delinea cosa quell'opera è o, meglio, quel che vorrebbe essere.
In queste prime pagine, invece, si è interessati a specificare che cosa questo libro non è. Più che affermarne gli scopi, insomma, si elencano i suoi non obiettivi.
Premesso che mi rivolgo ad un periodo della mia vita-gli anni '70-in cui assume, per me, particolare rilievo la musica, aggiungo alcune precisazioni:
-non è una autobiografia: certo, metto insieme fatti che mi riguardano ma, tutto sommato, è della mia musica che voglio raccontare, non di me;
-non per questo si tratta di un saggio di critica musicale. Inevitabilmente risultano sparse tra le righe alcune mie considerazioni su gruppi e artisti di quel tempo, eppure ogni affermazione esprime sempre e solo un parere personale. Mi pronuncio da appassionato di musica, non da esperto del settore;
-non è un'operazione nostalgia.
Si ha nostalgia di qualcosa che appartiene al passato e che, in quanto tale, è irraggiungibile, irripetibile, definitivamente distante dall'attualità.
La nostalgia, a volte, fa compagnia, rincuora e rinforza. In altre circostanze, è un lento scorrere di ricordi accompagnati da tristezza e rabbia.
Tristezza, perché si è ben consapevoli che la perdita è definitiva.
Rabbia verso l'oggetto della nostalgia, che sia una persona, un luogo oppure un evento o, più in generale, un periodo della propria vita.
Ancora rabbia nei riguardi del tempo che scorre ineluttabilmente senza concederci tregua alcuna.
Di nuovo rabbia verso noi stessi, noi comuni mortali condannati ad invecchiare. Noi, che ci arrendiamo al tempo.
Ebbene, io non provo niente del genere: non ho nostalgia di quegli anni e di quel che ero e che ho vissuto in quel periodo. Non ne ho nemmeno delle persone che, allora, furono per me significative.
Non mi viene a'pucundria, se penso al me stesso di allora. E non perché mi sia rassegnato allo scorrere del tempo o ne sia indifferente. Oppure che, ricorrendo alla fredda razionalità, mi ripeta che così va la vita, che tutto passa, che la gioventù viene una sola volta eccetera eccetera.
Il fatto è che, quegli anni, sono per me attuali. Io, oggi settantenne, sono quegli anni. Lo sono oggi come lo ero ieri e l'altro ieri (non me ne faccio un vanto: dico solo che è così che stanno le cose. È semplicemente un dato di fatto). Lo sono come lo sarò domani e dopodomani e per tutto il tempo, poco o molto che sia, che mi resta da vivere.
Non so se questa condizione sia un bene un male e non mi interessa saperlo. Non mi sento migliore o privilegiato (beh, privilegiato un po' sì. Un bel po', direi…) o chissà che. Quel che conta è che quegli anni sono in me: mi appartengono ed io appartengo a loro.
Lo stesso vale per le persone che, come accennato, in quegli anni ebbero per me particolare rilievo: esse sono in me, le sento e vivo con loro e loro vivono con me. Niente e nessuno di quel tempo, insomma, è rimasto indietro.
Dunque, di cosa dovrei avere rimpianto?
Non si può essere nostalgici verso qualcosa che è naturalmente già nostro come lo è una mano, un braccio, una gamba…o il proprio nome.
Questa appartenenza mi permette, inoltre, di evitare adolescenziali entusiasmi verso quel periodo che mi farebbero, probabilmente, scivolare in una sua sopravvalutazione.
Io non sono di quelli che si rattristano per il bel tempo che fu. E non perché sia sempre con lo sguardo rivolto al futuro. Più che altro, sono consapevole che il tempo che fu …fu a volte bello e, altre volte, brutto. Parecchio brutto. Persistono in me, inalterate, le emozioni positive legate ad eventi che, in quei dieci anni, furono fonte di gioia e soddisfazione.
Allo stesso modo sono ben impressi in me ricordi e vissuti emotivi connessi ad esperienze di cui, allora, avrei fatto volentieri a meno. Ricordi e sensazioni di cui vorrei perdere memoria.
Quelli a cui faccio riferimento furono anni, per un verso, eterni; per un altro, si rivelarono fugaci e fortemente contraddittori. Fu tempo di gioia e di rabbia, di apertura verso gli altri e paura degli altri, di soddisfazioni e di delusioni, di certezze e di smarrimento. Anni da cui desideravo mai uscirne; allo stesso tempo, non vedevo l'ora che giungessero al termine. Si viveva, ogni giorno, intensamente. Ad ogni risveglio si era certi che si sarebbe andati incontro ad una giornata particolare: quel giorno, così come ogni giorno, qualcosa di unico era pronto a manifestarsi. Di buono o cattivo, chissà…questa, solo questa, era l'incognita.
Fu quello, perciò, un momento particolare della mia vita e, mi sento di dire, di quella della mia generazione, quantomeno di quella sua porzione che visse gli anni '70 lasciandosi coinvolgere dalla molteplicità di stimoli culturali, artistici, sociali e politici di cui quel periodo fu immensamente fecondo. Tanto, che qualcuno ne fu travolto.
Se poi quel segmento generazionale viveva, come me, a Napoli, se ne aggiungevano ancora altri, di stimoli.
Inoltre è opportuno specificare che, nell'accingermi a scrivere queste pagine, sono del tutto libero da intenti sociologici, pedagogici, politici. Non mi interessa evidenziare distanze tra quel tempo e l'attualità. Le differenze ci sono, ovviamente, e sono notevoli: sono trascorsi appena appena cinquant'anni e più.
Sarà, perciò, invitabile che le diversità emergano: ma lo faranno in automatico, senza che io vi dedichi particolare attenzione.
Né intendo spiegare o giudicare il presente assumendo come riferimento il passato, o viceversa.
Detto ciò, concludo sottolineando che, nell'elencare i fatti, faccio ricorso esclusivamente alla mia memoria: dunque, particolarmente riguardo alle date dei concerti e della pubblicazione degli LP citati, potrebbero risultare eventuali imprecisioni.
Nulla è inventato. Niente è romanzato. Anzi, ho avuto cura di non riportare avvenimenti né citare persone che, per quanto siano stati per me significativi e care, poco o niente hanno a che fare con la vera e sola protagonista della narrazione: la mia musica degli anni '70.
Alfonso Falanga