
-Philip Roth, Pastorale americana (American Pastoral, 1997), tr. Vincenzo Mantovani, Einaudi, 2013.
"Sopra di lui c'era qualcosa che gli aveva intimato l'alt. Qualcosa che l'aveva trasformato in una insulsaggine umana. Qualcosa che l'aveva messo in guardia: non opporti a nulla", p. 27.
"Scrivere ti trasforma in una persona che sbaglia sempre. La perversione che ti spinge a continuare è l'illusione che un giorno, forse, l'imbroccherai. Che cos'altro potrebbe farlo? Fra tutti i possibili fenomeni patologici, questo è uno che non ti rovina completamente la vita", p. 68.
"E se esiste qualcosa di peggio del farsi domande troppo presto nella vita è farsele troppo tardi", p.74.
"Ma chi è pronto ad affrontare l'impossibile che sta per verificarsi? Chi è pronto ad affrontare la tragedia e l'incomprensibilità del dolore? Nessuno. La tragedia dell'uomo impreparato alla tragedia: cioè la tragedia di tutti", p. 94.
"...la fluida regolarità che un tempo era il fondamento della loro vita insieme sopravviveva solo come illusione, come una fantasia sproporzionata e beffardamente inaccessibile", p. 221.
"Piangono a dirotto, il fido padre che è fonte di ogni ordine, che non potrebbe lasciarsi sfuggire e sanzionare il minimo segno del caos-per il quale tenere a bada il caos era stata la nuova via scelta dall'intuizione per raggiungere la certezza, il rigoroso dato quotidiano della vita- e la figlia che è il caos stesso", p. 250.