Una riflessione su complicanza e complessità attraverso la storia del Visconte dimezzato.

Alfonso Falanga, 19 maggio 2023.


"Se mai tu diventerai metà di te stesso, e te lo auguro, ragazzo, capirai cose al di là della comune intelligenza dei cervelli interi. Avrai perso metà di te e del mondo, ma la metà rimasta sarà mille volte più profonda e preziosa", p. 47.
"Così mio zio Medardo ritornò uomo intero, né cattivo né buono, un miscuglio di cattiveria e bontà, cioè apparentemente non dissimile da quello che era prima di essere dimezzato. Ma aveva l'esperienza dell'una e dell'altra metà rifuse insieme, perciò doveva essere ben saggio", p. 90.

Italo Calvino, Il Visconte dimezzato (1951) in I nostri antenati (raccolta), Mondadori, 2021.


   Distinguere la complessità dalla complicanza non è un semplice esercizio linguistico e concettuale. Si tratta, invece, di un procedimento utile a favorire l'assunzione della giusta prospettiva attraverso cui osservare i fatti evitando interpretazioni, se non errate, quantomeno parziali, improduttive e logoranti lì dove diventino oggetto di discussione. 

   Partiamo da una premessa: la complessità è cosa diversa dalla complicanzaQuest'ultima denota un groviglio di variabili non sempre identificabili. Essa è, spesso, la negazione del detto ad ogni problema c'è una soluzione. In sintesi, è un termine con una forte valenza negativa che, spesso, evoca rassegnazione, rinuncia, incapacità, fallimento. 
   Affermare che un fatto presenta un certo grado di complessità, invece, non significa che in esso ci siano nodi irrisolvibili bensì che a quel fatto partecipano, contemporaneamente, più variabili e, a volte, tra loro contrastanti.
   Riguardo al comportamento umano, ad esempio, le azioni -anche quelle meno significative- vedono l'intervento simultaneo di componenti emotive, etiche, cognitive. A seconda del contesto, poi, prevarrà un tipo di variabile. Le altre saranno comunque presenti anche lì dove siano meno evidenti: ma ci sono, semmai in una condizione di latenza. In uno stato di attesa. E prima o poi emergono a sostegno dell'emozione prevalente oppure, al contrario, per contrastarla.
   La complessità, perciò, è una condizione naturale dei fenomeni. Essa è una qualità che appartiene alla realtà, ad ogni realtà: diventa complicanza proprio quando non se ne tiene conto, quando la si vuole risolvere attraverso la sua forzata semplificazione.


   Già in un'altra occasione ho accennato al ruolo che gli artisti svolgono nel sottolineare l'inevitabilità della complessità riguardo all'individuo, alla natura, alle cose. Italo Calvino è uno di questi: attraverso la simbologia che caratterizza le sue opere, mediante la forza evocativa che la sua arte letteraria fa emergere pagina dopo pagina, egli offre molteplici spunti di riflessione sulla complessità. Il suo Visconte dimezzato ne è un esempio.
La storia è quella di Medardo di Terralba, visconte, che si arruola per combattere i turchi e lo fa giusto "…per compiacere certi duchi nostri vicini impegnati in quella guerra", (Italo Calvino, Il Visconte dimezzato (1951) in I nostri antenati (raccolta), Mondadori, 2021, p. 9). Egli è una persona semplice. Fa poche domande per lo più rivolte al suo scudiero Curzio e  relative all'ambiente- anch'esso semplificato attraverso la netta distinzione tra i buoni (i cristiani e, dunque, Medardo), da un lato, e i cattivi (i turchi), dall'altro - in cui gli eventi lo hanno catapultato.
   La notte prima della battaglia decisiva contro gli infedeli, Medardo inganna l'attesa camminando avanti e indietro, nei pressi della sua tenda, con lo sguardo verso il cielo mentre e "…pensava al nuovo grado, alla battaglia dell'indomani, e alla patria lontana", (cit. p.13). In quel momento, la sua semplicità d'animo si manifesta nell'assenza di sentimenti particolari, quelli che, invece, di solito un combattente prova prima della battaglia. Ma in Medardo non c'è né nostalgia per la sua vita precedente, né dubbio riguardo ai doveri che lo attendono e nemmeno apprensione per la sua sorte, pur essendo egli ben consapevole che la morte è dietro l'angolo. Il visconte è ancora immune alla complicanza: "… per lui le cose erano ancora intere e indiscutibili, e tale era lui stesso", (cit. p. 13).

   La realtà gli si mostra chiara e lineare, per quanto cruenta. E gli è chiaro il suo ruolo, in quella realtà: la semplicità dei suoi pensieri e delle sue percezioni tiene da lui lontane, in quel momento cruciale, ansia e aggressività.

   Il Visconte si lancia in battaglia mostrandosi subito impavido. Proprio la sua irruenza lo porta a esporsi ad una cannonata dei turchi. Da quel momento in poi, Medardo è ancora un visconte, sì, ma dimezzato. Di lui sopravvivono due metà separate ovvero due profili ognuno dotato di un solo occhio, un solo orecchio, un'unica guancia, mezzo naso, mezzo mento e mezza bocca.
   La metà destra è la prima a fare ritorno al castello, sdraiata su una lettiga ed avvolta in un mantello nero che lascia scorgere solo "…il brillio di una pupilla", (cit. p. 20). Essa subito rivela la sua vocazione al male, mostrando quel disprezzo verso gli altri, che ben presto si tramuterà in atti malvagi e crudeli, con un gesto aspro di diniego con cui allontana da sé la vecchia balia Sebastiana, che gli si è avvicinata per aiutarlo a sollevarsi. Per qualche tempo, questa metà risulta la sola parte sopravvissuta alla cannonata turca: essa esaurisce tutto ciò che di Medardo rimane una volta tornato dalla guerra. E gli abitanti di Terralba ne fanno le spese appena, alla morte del padre Aiolfo, il Visconte dimezzato esce dal castello e, con i suoi modi duri e cinici, assume il governo del villaggio.

"La coesistenza dei due opposti genera confusione. Nell'avvicinarsi di una delle due metà, le persone non sanno che cosa aspettarsi e non sanno cosa fare: se attendere, fiduciosi che quel mezzo profilo appartenga al Medardo amorevole oppure scappare nel dubbio che, invece, sia il Medardo crudele".

   Ci vorrà del tempo affinché nei boschi intorno a Terralba si palesi l'altra metà del Visconte, quella buona: la popolazione, impaurita e diffidente, non riconosce subito la sua diversità dalla metà cattiva. Poi, quando la distinzione è definitivamente avvenuta, la gente attribuisce al Medardo cattivo il soprannome Il Gramo. L'altra metà è, più semplicemente, Il Buono.
   La coesistenza dei due opposti genera confusione. Nell'avvicinarsi di una delle due metà, le persone non sanno che cosa aspettarsi e non sanno cosa fare: se attendere, fiduciosi che quel mezzo profilo appartenga al Medardo amorevole oppure scappare nel dubbio che, invece, sia il Medardo crudele. La confusione alimenta negli animi sentimenti antitetici, una sorta di riflesso del contrasto tra il Gramo e il Buono. E, così, il lamento della gente esprime tutto il disagio interiore dovuto alla coesistenza tra queste due anime ognuna delle quali aderisce ad un unico principio, assoluto e inattaccabile: da un lato, il male e, dall'altro, il bene.
   "Così passavamo i giorni a Terralba, e i nostri sentimenti si facevano incolori e ottusi, poiché ci sentivamo come perduti tra malvagità e virtù ugualmente disumane", (cit. p. 82).
   Insomma, la vita degli abitanti di Terralba si fa parecchio complicata.

   Ognuna delle due metà conosce esclusivamente la propria realtà e lo esprime attraverso comportamenti assoluti: il Gramo è del tutto malvagio, traditore ed egoista. Il Buono è del tutto amorevole, comprensivo, affidabile, altruista, tanto al punto da peccare di ingenuità, colpevole ingenuità. Il solo scopo del Gramo è fare del male gratuitamente e, perciò, ancora più crudelmente. Lo scopo del Buono, in sostanza, diventa compensare le malvagità del suo antagonista.
   La realtà generata dalle due metà di Medardo è fatta di coesistenza degli opposti e dell'assolutismo dei loro principi e comportamenti. È, questa, una realtà che non è complessa, bensì è ancora complicata. Il nodo non potrà mai essere sciolto fino a quando ognuna delle due parti farà della sua metà di realtà tutta la realtà.

   La vicenda di Medardo suggerisce che la complicanza ha origine quando intendiamo la parzialità delle nostre conoscenze del mondo (parziali in quanto limitate alla nostra esperienza),come la totalità, ovvero come la conoscenza di tutto il mondo. Complicare, perciò, in quest'ottica significa scambiare il singolo elemento per tutti gli elementi: complichiamo quando ci lasciamo agire da quel processo mentale definito "generalizzazione".
   Sempre Medardo, la sua porzione buona, indica la soluzione: il passaggio dalla complicanza alla complessità richiede, quale premessa, che si diventi consapevoli che la propria realtà è solo un pezzo di un mondo più vasto, ovvero che ognuno-pure se intero nel corpo - è a metà riguardo alla conoscenza del mondo. Eppure, suggerisce il Visconte, l'incompletezza diventa una risorsa se viene riconosciuta, accettata ed utilizzata come punto di partenza per proiettarsi verso il mondo che appartiene all'altra metà, quella che manca. La parzialità, dunque, muove verso la totalità invece che tentare, arbitrariamente e violentemente, di inglobarla.
   È questa la verità a cui si avvicina il Medardo buono, quando rivolgendosi a Pamela- la donna di cui si innamora- dice:
   "O Pamela, questo è il bene dell'essere dimezzato: il capire d'ogni persona e cosa al mondo la pena che ognuno ha per la propria incompletezza. Io ero intero e non capivo, e mi muovevo sordo e incomunicabile tra i dolori e le ferite seminati dovunque, là dove meno da intero uno osa credere. Non io solo, Pamela, sono un essere spaccato e divelto, ma tu pure e tutti. Ecco ora io ho una fraternità che prima, da intero, non conoscevo: quella con tutte le mutilazioni e le mancanze del mondo", (cit., p. 67).

   La strada verso la complessità, così, si apre a Medardo che vi ci accede nel momento in cui le sue due metà, dopo aver duellato tra loro per contendersi Pamela- per inciso, la donna ama il Buono- sono riunite. Questa rinnovata unità ha origine per caso: entrambe le mezze porzioni restano ferite gravemente durante il duello e, nel disperato tentativo per salvare Medardo, il dottor Trelawney ricuce "...i visceri e le arterie dell'una parte e dell'altra" (cit., p. 89). Poi le blocca in un solo bendaggio, come a saldarle tra loro nella speranza che i residui degli organi di una metà siano sostegno per i restanti organi dell'altra metà. L' operazione riesce: Medardo è ricomposto in una unità più ricca e consapevole dell'unità precedente dal momento che, ora, ogni sua porzione ha conoscenza del mondo a cui appartiene l'altra.
"Medardo ritornò uomo intero, né cattivo né buono, un miscuglio di cattiveria e bontà, cioè apparentemente non dissimile da quello che era prima di essere dimezzato. Ma aveva l'esperienza dell'una e dell'altra metà rifuse insieme, perciò doveva essere ben saggio", (cit., p. 90).

   Il procedimento con cui viene generato il nuovo Medardo evidenzia ulteriormente che la complessità non è evitabile e non è un limite, bensì una risorsa. Essa viene raggiunta, a partire dalla dannosa complicanza, attraverso una scelta: non c'è altro modo, come indica lo stratagemma messo in atto dal dottor Trelawney. Questa scelta non consiste in una rinuncia al proprio punto di vista, alle proprie convinzioni, idee e opinioni. Si tratta, invece, di un atto di accoglienza verso il punto di vista dell'altra metà. Delle altre metà con cui si entra in contatto e che si aspira a conoscere. A relazionarsi.
   La complessità, in quest'ottica, si lega al concetto non di giusto o sbagliato bensì di completo o parziale. Così come complesso non ha accezioni negative, allo stesso modo parziale non è un termine svalutativo. La parzialità è la qualità del pensiero umano, che per comprendere non deve negare se stesso ma collegarsi ad altri pensieri. Ed è una questione non di capacità bensì di scelta.
   Il passaggio dalla complicanza alla complessità non è agevole. È faticoso. Richiede abbandonare le proprie zone di comfort, ovvero quelle spiegazioni che tutto spiegano, tutto aggiustano, tutto rendono rassicurante anche se, spesso, poco funzionali a orientarsi nel mondo della natura e dei rapporti umani.
   La complessità è, invece, accettare che non tutto e non sempre è spiegabile e non tutto e non sempre è rassicurante.
   La complessità non è rassicurante. Ma è quanto più ci avvicina alla realtà.